alla libreria Pangea
Marco Berti presenta
"Tom Ballard il figlio della montagna"
"Penso a molti importanti alpinisti degli anni Trenta e Quaranta. Anche loro avevano pochi soldi, arrampicavano con il minimo indispensabile, facevano grandi cose con molto poco. Quindi non conta ciò che fai, ma cosa sei riuscito a fare con ciò che hai" Tom Ballard.
Tom Ballard fu «figlio della montagna» nel senso più profondo del termine. Non è un’ardita metafora, ma la sintesi di un rapporto che è stato prima genetico e poi animato da una passione esclusiva, irrefrenabile, assoluta.
Era figlio di Alison Hargreaves, «la più forte delle donne alpiniste», secondo Reinhold Messner. E anche una delle più controverse: aveva scalato l’Eiger tre mesi prima di dare alla luce Tom, sollevando un vespaio di polemiche. Il temperamento della madre e il suo modo di vivere la sfida sembrano suggerire tutte le scelte alpinistiche di Tom, che porta a termine la prima solitaria delle sei grandi pareti delle Alpi in un solo inverno: è il progetto Starlight and Storm, che sua madre aveva compiuto, prima in assoluto, nell’arco di un’estate.
Non sappiamo quanto il ricordo di lei aleggiasse anche nella sua decisione, per molti versi inspiegabile, di affrontare gli Ottomila cominciando proprio dal terrificante Nanga Parbat. Forse intendeva avvicinarsi, idealmente, al K2, la montagna su cui Alison aveva perso la vita quando lui aveva appena sei anni, come ipotizza Messner? Non lo sapremo mai. Tom stesso ammetteva che il suo rapporto con la montagna fosse stato fortemente plasmato da un’infanzia passata in tenda, nei campi base, seguendo la mamma.
Questa esistenza da «lumaca alpina», che si porta dietro tutto quello che possiede, in cui non c’è niente se non l’indispensabile, era l’unica in cui si sentisse pienamente a suo agio. Un modo di vivere, senz’altro, ma anche di salire: prevalentemente in solitaria, con pochissimi mezzi, senza troppa pubblicità.
Una riservatezza, una ricerca dell’essenziale che hanno fatto di lui un vero erede dell’alpinismo classico alla Walter Bonatti.In questo libro Marco Berti, amico intimo e compagno di scalate, ci racconta la storia del giovane alpinista britannico fino alla tragica fine: la spedizione sul famigerato Sperone Mummery del Nanga Parbat, con Daniele Nardi, partita a Natale del 2018. Dopo il 24 febbraio, il silenzio che avvolge i due alpinisti è più eloquente di un urlo.
Riviviamo le ore disperate passate a cercarne le tracce. Inutilmente. La montagna, magnifica e terribile, si è ripresa suo figlio.
Marco Berti (Venezia 1965) inizia giovanissimo a percorrere i sentieri e le pareti delle Dolomiti per poi impegnarsi sull’intero arco alpino. Ha collaborato con «Il Gazzettino» e «La Gazzetta dello Sport» e con numerosi periodici oltre ad aver co-condotto alcuni format televisivi. È autore de Il vento non può essere catturato dagli uomini (Priuli & Verlucca 2018) finalista al Premio della Montagna Cortina d’Ampezzo 2019.