Eventi di aprile
sabato 14 alle ore 16,00
alla libreria Pangea
inaugurazione dell'esposizione fotografia di Giuseppe Morandi
"La mia Africa"
e alle ore 17
Peter Kammerer e Giuseppe Morandi presentano
il libro di Giuseppe Morandi
"Vecchi e nuovi volti della bassa padana"
edizioni Gabriele Mazzotta
con i contributi di Arturo Quintavalle, Ivan Della Mea, Peter Kammerer
la mostra sarà visitabile fino al 5 maggio
sabato 5 maggio alle ore 17,00
proiezione del documentario
"I colori della bassa"
di Giuseppe Morandi e Gianfranco Azzali
Introduce Gianni Tamino
intervengono gli autori
"(...)Nel viaggio del cineasta e fotografo Giuseppe Morandi nella Bassa Padana si racconta il mondo contadino contemporaneo e i suoi colori, «il colore dei soldi, che è sempre bianco - come Morandi tiene a sottolineare - e quello del lavoro, quello degli indiani, pakistani, nigeriani, cinesi che sono i nuovi contadini della Bassa Padana». (...)
www.legadicultura.it
(...)La fotografia di Morandi traccia sintesi stringenti tra bellezza e semplicità; lasciando fuori campo ogni ipotesi di recitazione, di regìa e costruzione dell' immagine, lascia spazio alla teatralità dei corpi.
La sequenza procede e finisce su registri leggermente spostati rispetto a quelli abituali di Morandi. Sono immagini giocose, recitate, minimamente allestite, ma in queste finzioni minime c'è molta verità (dislocata e condensata, come in una classica idea di sogno): una sorta di turbante sopra a una maglietta targata "Florida", un combattivo corpo a cui basta un perizoma e un turbante per viaggiare in una storia salgariana...(Paolo Barbaro)
Il libro di Giuseppe Morandi
di Giovanna Marini
Di solito non mi emoziono quando guardo i libri di fotografie, li apprezzo, mi fanno sognare se sono foto inventate, che raccontano storie, ma come quelle che racconta Morandi non ne ho trovate mai.
Si va dai pumater, al vuoto lasciato dai bergamini che non ci sono più le vacche ma loro ci sono ancora, come Pierino Azzali, il papà del Micio, seduto con fermezza sulla panca, e tutti sono statuari, degnissimi, a nessuno di questi che ti fissano dal libro e sembra che ti dicano" Guardami un po', sì sono proprio io e sono proprio così, bé?! Ecco a nessuno di questi puoi dire ladro, manipolatore, buffone, questa è gente, e si capisce che Giuseppe Morandi ti sta dicendo "Questa è la mia gente, e io me li porto dentro così come sono, e io sono come loro e ne sono fiero". Quanto ci dice questo libro.
Dai vecchi che ci fissano tutti, ai giovani che ci fissano anche loro ma ridendo alcuni, alla sconosciuta che non ci guarda e chissà dove guarda cosa vede, ai due intellettuali, Gianni Bosio e Mario Lodi, che guardano altrove sfuggendo il rapporto diretto con l'obiettivo. Tutti sono lì per un motivo preciso: la vita è esistere pienamente ed è così che ci sentiamo, vivi.
A guardare questi sguardi, Duilio Braga, le ragazze di vicolo Pozzo, Fioni, Angelo Malinverno, la bambina Federica Gorni, la signora Flavia Brunelli, la vecchia Carmagnani e li pumateri, e tutti gli altri, è un racconto, non solo di lavoro nei campi, un racconto che si porta dietro uno stile di vita un modo di credere nell'altro, una serenità nel pensare , che non conosciamo più, la pensiamo, sì, ma solo con rimpianto. Con queste foto siamo negli anni ottanta, possibile che oggi si sia cambiati, così tanto? Ora il libro porta foto fatte nel 2000, arrivano gli stranieri, gli indiani che anche nel 2001 ti guardano dritto nell'obiettivo e sorridono, Jagjit Rai Metha e Pushpa Devi e i loro figli e i loro genitori, oggi popolano Piadena e la pianura, sono loro a guardarti dritto sorridendo con quella stessa nostra grande dignità. E' una raccolta di persone degne che vogliamo avere per amici, la storia dei personaggi di questo libro non la conosciamo ma ora è come se li conoscessimo intimamente, in profondità, e sappiamo che anche loro, insieme a quelli che abbiamo scelto per amici vicini, fanno parte di una vita che Giuseppe Morandi ha eletto come vita da ricordare, da tramandare, da fissare. Io ti ringrazio proprio Giusep, mi hai convinto, questo è un libro bello e le nostre storie sono tutte belle storie..
Il sogno ritorna
Peter Kammerer
Più di cinquant'anni fa Giuseppe Morandi scattava, sedicenne, le sue prime fotografie, mosso, racconta lui, dalle immagini dei filari, degli amici e di sua cugina. Aveva trovato un modo suo di mettersi in rapporto con il mondo.
Il primo grande ciclo di fotografie di Morandi mostrava una classe, il suo modo di vivere e quindi un suo mondo vissuto che stavano per essere distrutti. I paisan si trasformavano in operai o in piccola borghesia. "I vecchi braccianti, cavallanti, bifolchi, mandriani, bergamini e le loro mogli sono trasportati al ricovero. Piangono. Si affannano. è finita" (volantino della Lega di cultura, I maggio 1967). Il capitale agrario si ristrutturava. Qualche decina di anni dopo i campi svuotati dagli uomini risuonano del lavoro dei trattori e di gigantesche macchine agricole; le cascine, i vecchi luoghi di comunità, ma anche di pena, si trasformano in depositi o in ruderi. è stata un'epopea: un'intera popolazione con nonni, bambini e animali domestici si è trasformata, ha cambiato i suoi costumi e lasciato dietro a sé un patrimonio muto di pietre e di memoria. Quando negli anni '60 Morandi fotografava gli ultimi paisan non si sapeva nulla ancora di questo approdo in un nuovo paesaggio umano e agroalimentare, che sarà documentato e raccontato poi nelle foto degli anni '80 e '90. C'era chi accusava Morandi di fotografare i paisan come se fossero gli ultimi mohicani, ma lui faceva le sue foto per un riscatto di dignità, proprio per non finire nelle riserve. Non credeva nel futuro della piccola borghesia, la vera vincitrice delle lotte del XX secolo, anche se ha dedicato due volumi (Cremonesi a Cremona e Quelli di Mantova) alla sua immagine ambigua e oscillante tra ottusità e progresso, tra corpi di consumo e corpi di lavoro. Non sono immagini che fanno sognare, anche se Morandi, in questo per fortuna poco ideologico, trova ovunque, in qualsiasi ambiente umano, uno paio di occhi che illuminano il futuro.
Ora invece, con la nuova mostra, "il sogno ritorna". Cosa vuol dire questo titolo dato alle fotografie della famiglia di Jagjit e Pushpa Mehta Rai fatte a Piadena nel 2002? La chiave della mostra mi pare siano i due grandi ritratti degli sposi in ricco costume indiano, sotto un albero di ciliegi giapponesi con i suoi fiori rosa, il tutto a colori smaglianti (rari nell'opera del Morandi che privilegia nettamente il bianco e nero). Non appaiono veri, diciamolo, rasentano il kitsch con queste citazioni esotiche di un mondo lontano e felice. Facile scambiarli per pubblicità, difficile accettare l'idea che qui, tra le nebbie della Bassa, le Mille e una notte siano scese in qualche cascina superstite. Se fossero vere, queste immagini sarebbero la prova di un sogno che né i paisan, né nessun altro a Piadena ha mai avuto la possibilità o il coraggio di fare. Perciò la difficoltà di riconoscerle, perciò il riferimento alla pubblicità o al folclore turistico, versioni tanto note quanto alienate dei nostri desideri. Ma queste foto del Morandi sono vere, sono realtà.
Lo dimostrano le venticinque altre foto dedicate al contesto nel quale vive questa coppia indiana. Possiamo leggere tutta la mostra come il seguito di La mia Africa, ma centrata su una sola famiglia e quindi approfondita (quarant'anni fa è stata la famiglia Azzali la chiave fondamentale per capire la condizione dei paisan). Apre Simona, la piccola figlia, con un passo di danza nel cortile. La vediamo con aria di sfida nella foto di famiglia in un cortile alberato di Piadena e poi cavalcare sulle spalle del padre, giocare insieme al fratello Hani e ancora con il fratello fare i bagni in due bidoni pieni d'acqua. Nulla pare distingua la loro infanzia dalla nostra. Non pare nemmeno più strano vedere tre bambini indiani davanti al Comune o due madri indiane davanti alla facciata di mattoni del tempio. Gli elementi edilizi che appaiono, mattoni, tegole e legno, fanno parte del grande universo contadino che va dall'India alla Bassa e consentono forse a chi arriva dalle campagne dell'India una certa familiarità con l'ambiente nuovo. è una famiglia "arrivata", tutta allegra con la sua macchina nuova nel cortile. Dopo vent'anni di soggiorno Jagjit ha la cittadinanza italiana. Ha fatto vari lavori (venditore di patatine al Circo Orfei, cuoco in un ristorante a Modena) e ormai fa il bergamino, ben pagato perché nessuno vuole o sa più fare questo mestiere, impegnativo per il lavoro di notte, ma non massacrante come una volta. Lo fa con competenza e grazia (dovuta si dice a quel rapporto particolare della cultura indiana con gli animali). Anche Pushpa lavora. La vediamo insieme a maestre e tre bambini in un asilo dove fa le pulizie.
Un'ultima parte dell'inchiesta inizia con una foto di famiglia davanti alla casa e una foto dei genitori in visita a Piadena (con la vita dura iscritta nel viso della madre), per finire in un gioco di sguardi da sotto la porta e di travestimenti. A Jagjit piace raccontare il passato nel presente usando i vestiti. E la famiglia partecipa. Bellissimo l'uso della tenda, del siparietto che divide il dentro dal fuori. C'è una foto dal dentro: Jagjit coperto dalla gianghia vicino alla finestra nell'intimità di una persona adulta e innocente. è stato il giorno di Pasqua 2002. Jagjit e Pushpa si vestono per portare gli auguri agli amici. Tirano fuori dall'armadio i vestiti più belli, quelli di seta, di colore, quelli dell'India. Morandi incontra i due nella casa della "maga Adele". Capisce tutto: il sogno dell'India viene portato come dote nella Bassa. E di più. I più umili, una volta i paisan, oggi gli immigrati, tessono la stoffa della quale sono fatti i sogni veri. Grazie a loro il sogno ritorna. Nei meandri della storia il patrimonio umano di una classe eliminata riemerge da altre origini e in forme del tutto nuove. Il grande racconto iniziato da Morandi nelle fotografie di un mezzo secolo fa ha trovato una fine imprevista e imprevedibile. E la storia continua..
"Noi dobbiamo accettare il peso di questo tempo triste.
Dire ciò che sentiamo e non ciò che conviene dire"
William Shakesperae - Re Lear
Luisa Broggini
Il poeta intravede la realtà, va oltre l'apparenza, scorge l'invisibile e se un tempo è triste, lui lo dice, non nasconde la difficoltà e la gravità che stanno intorno all'uomo, che sono dentro l'uomo.
Oggi la tristezza è quella nel vedere la rimozione che l'uomo mette in atto nel rapporto con la terra, con l'ambiente naturale che ci circonda. Stiamo andando oltre ogni limite, stiamo violentando e uccidendo l'ambiente che ci ospita e di cui siamo, anche se non vogliamo più riconoscerlo, figli. Abbiamo imboccato una strada senza uscita, stiamo distruggendo la possibilità di continuare a vivere su questa terra. La natura si riformerà, non morirà, ma l'uomo si.
Grazie Giuseppe, grazie Micio! Vi siete presi di responsabilità di dire, di parlare di questa tristezza e di questa realtà: "dire ciò che sentiamo e non ciò che conviene dire".
La tristezza di questi tempi è quella, anche, di essere tutti immersi e travolti da una comunicazione, da parole che non sono autentiche perchè convenienti.
In quella sala ho sentito una tristezza infinita, un gran dolore allo stomaco e un grandissimo bisogno di piangere e di silenzio.
Con le vostre immagini (per certi versi scandalose) e le parole, essenziali come il racconto prevedeva, siete arrivati all' anima delle persone, certamente alla mia.
Un' anima che di questi tempi può apparire deserta e che i poeti e le persone come voi, con il loro lavoro profondo possono risvegliare e riscaldare. Ancora grazie per il prezioso lavoro di dire e raccontare il vostro sentito.
Vi abbraccio.
La recensione
di Enrico Pugliese
Il video curato da Giuseppe Morandi sulla nuova realtà del lavoro e della produzione agricola nelle cascine della Bassa Padana rappresenta, come alcuni altri lavori della Lega di cultura popolare, una sorta di sviluppo e di aggiornamento delle cose e dei fatti illustrati in passato per iscritto, per immagini (foto ed altro) e, sempre più frequentemente, per audiovisivi.
Una delle più grandi novità di questi anni è il come è cambiata la gente. E' arrivata gente nuova e non si tratta dei meridionali - che in realtà non sono mai arrivati in massa a lavorare nelle campagne, nelle cascine - bensì di lavoratori stranieri: extracomunitari - si diceva una volta - gente del sud del mondo. A seconda del lavoro e a seconda del periodo in cui è svolta l'indagine c'è gente di colore diverso. La prima volta che lo notai - e davvero rimasi impressionato - erano i neri che giocavano a pallone ritratti nel bel volume di foto, La mia Africa. Sarò lento ma ci misi un po' a capire che quei giovanottoni non erano un ennesimo Pelè o che so io, bensì lavoratori regolarmente immigrati, regolarmente sfruttati e regolarmente integrati in quella agricoltura sempre più ricca che è l'agricoltura delle cascine della bassa padania. Nelle foto di quel libro oltre ai giocatori di pallone neri c'erano tanti altri giovani uomini e donne di varia etnia e nazionalità.
Già, la gente. Ed è di nuovo di gente che si parla in questo video che comincia parlando della vita quotidiana di: immigrati indiani di lavoratori, di lavoratrici, di mamme e di bambini che vanno a scuola. Anzi di bambini che vanno "molto bene" a scuola: il che è una grande gioia per il padre. E poi vediamo il padre al lavoro nella stalla a fare il bergamino. E ancora il bambino che lo aiuta nel lavoro di bergamino. Ma si tratta già del bergamino dell'azienda meccanizzata: la mungitrice - è ovvio - è automatica. Ma sempre all'alba ci si alza. Cioè, non sempre all'alba, perché una volta ci si alzava alle due. Ed è un'anziana donna - non so se si debba dire una arzdora - che svegliava una volta il marito e soprattutto i figli recalcitranti alle due di mattina.
Ed è qui che compare il Micio. Micio ha sicuramente un nome all'anagrafe ma compagni, sociologi e etno-musicologi lo chiamano sempre così. Non so se egli risponderebbe ad un altro nome. Ma di certo risponde alle domande. Con competenza sociologica e politica racconta l'organizzazione del lavoro della stalla e della cascina in generale, quando ci si alzava alle due di mattina. Poi vennero i grandi processi di meccanizzazione e tutto cambiò: le macchine sostituirono gli uomini, la cascina cambiò volto. il lavoro pesante di una volta certamente finì e soprattutto cambiò volto. Ma non sempre il cambiamento implicò miglioramento.
Certo, implicò miglioramento sul livello di vita, fece sparire la miseria, ridusse la fatica e certamente l'oppressione padronale. Ma si ridusse, fino a scomparire la vita comunitaria della cascina. C'è un altro video - non ricordo dove l'ho visto - davvero impressionante del gruppo di Piadena. E' un sonoro, anzi si fa per dire. Infatti nella cascina degli anni '50 ci sono i rumori degli animali e dei carri ma soprattutto tante voci della gente. La stessa cascina ripresa dal video oggi è pressoché deserta ma soprattutto assordantemente silenziosa. E questo vuol certo dire qualcosa. Ma nel suo intervento il Micio oltre che di meccanizzazione parla del cibo che ora viene prodotto nella bassa padana. E qui il discorso si fa complesso. Niente da dire sulla produzione altamente meccanizzata dei provoloni (prodotto notoriamente padano e non tanto napoletano: Auricchio docet). Ma è sull'allevamento dei polli che il discorso di Micio fa venire qualche problema, almeno per quel che riguarda le galline ovaiole. Nelle condizioni in cui vivono (pochi centimetri quadrati a testa) in allevamenti che arrivano a molti centinaia di migliaia di capi, le galline sono sottoposte a un bombardamento di antibiotici per evitare infezioni. Speriamo che quando smettono di essere produttive non le vendano come carne: sarebbe una cura a gratis di antibiotici. Micio e le altre voci narranti parlano degli effetti della meccanizzazione e della nuova realtà tecnologica. Qui vorrei ricordare una cosa che, sottolineata spesso da Guido Crainz nel suo bel volume Padania quando evidenzia come la meccanizzazione e lo sviluppo tecnologico intenso siano stati anche la risposta al rafforzamento della classe operaia agricola (dei paisan) negli anni '50 e poi è andato avanti vorticosamente.
Lasciano veramente senza fiato: la serie di "catene di smontaggio" utilizzate ora nei macelli di carne suina e bovina ma anche di pollame. Io non ho idea di cosa siano stati i macelli di Chicago che hanno ispirato Brecht nella santa Giovanna, ma qui si vede un taylorismo ad alta meccanizzazione che non lascia scampo ne ai pochi operai che ci lavorano ne soprattutto alle bestie.
Non credo che i metodi tradizionali di macellazione fossero meno crudeli di quelli attuali ma la macellazione taylorista dei vitelli e soprattutto dei maiali, è spettacolo da non raccomandare a persone troppo sensibili: it is not for sissies. E' il sottofondo musicale dell'estate di Vivaldi diventa anch'esso, per qualche strano meccanismo che non riesco a comprendere, lugubre.
Ma nel video non c'è solo questo, c'è la nuova vita della bassa. La nuova gente, i nuovi paisan che, guarda caso, vengono da lontano, soprattutto dall'India. E guardano con speranza al futuro, ai figli che studiano e che non devono fare il lavoro minorile disperante e disperato che con qualche breve flash sull'India il video fa vedere. I nuovi colori della bassa, che io ho sempre pensato un po' grigia, sono quelli giusta appunto della gente di colore e il gruppo di Piadena gli ha incorporati diventando così forte veicolo di integrazione.
PIADENA - E' stato accolto con interesse il film documentario diGiuseppe Morandi e Gianfranco Azzali sulle trasformazioni del mondo agricolo intitolato Il colore della Bassa,
«Con i film girati negli anni '50 e '60, ed in particolare con "i paisan" e "la giornata del bergamino" ci siamo trovati a contatto con una realtà locale, un mondo fatto di persone della nostra terra.
Biografia
Morandi Giuseppe, nasce a Piadena il 25 agosto 1937. Azzali Gianfranco, nasce a
Drizzona il 10 marzo 1947.
Filmografia
1956 I Paisan: El pasturin; 1957 Morire d'estate; 1961 El Calderon; 1964 Inceris li barbi; 1966 Baratterie el massa el nimal; 1966 El Vho; 1967 La giornata del bergamino; 1967 Jon, du, tri, quater, sac; 1967 La Madasi la massa l'och; 1967 Tonco, la festa del tacchino; 1967 Cavallo ciao
Cast tecnico: Produttore esecutivo Giampaolo Smiraglia
Idea e soggetto: Giuseppe Morandi e Gianfranco Azzali
Suono in presa diretta: Sergio Lodi e Gianfranco Azzali
Fotografia: Giuseppe Morandi
Montaggio: Andrea Chiantelli
Regia: Giuseppe Morandi
Documentario, colore 30 minuti, Italia 2008
Settembre 2008. Il film presentato a Venezia.
Settembre 2007. Il Film è concluso, si sta pianificando la presentazione e la distribuzione.
Gennaio 2005. Il film avanza, le ultime riprese hanno riguardato alcuni funerali, mentre le riprese al supermercato sono state vietate.
Ottobre 2004. Le riprese continuano: il macello dei polli a Nostranello S.Felice, la danza di Jagjit e Simona, un funerale civile, la scuola di latino americano di Ghedi... nel 2005 la presentazione a Venezia del film..